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titolo 2015-11-13 - Conoscere le cose di Dio per conoscere davvero l’uomo e il mondo

Incontro con il teologo
P. Giovanni Cavalcoli OP

Autoaffermazione, bisogno di comunione, eclissi del Sacro: sono queste, secondo il teologo domenicano P. Giovanni Cavalcoli OP, le caratteristiche peculiari della società moderna.

In prossimità dell’apertura del Giubileo della Misericordia il prossimo 8 Dicembre a Roma, i padri domenicani hanno solennemente aperto a Bologna il loro anno giubilare per gli 800 anni della fondazione dell’Ordine dei Predicatori. Abbiamo incontrato a Varazze il teologo P. Giovanni Cavalcoli  OP e gli abbiamo chiesto quale è la sua lettura dei tempi attuali.

Lo scorso 7 Novembre, nella Basilica di San Domenico a Bologna, è stata celebrata la S. Messa per l’apertura solenne del Giubileo Domenicano per gli ottocento anni dalla conferma dell’Ordine dei Predicatori (1216-2016), definito dalla famiglia domenicana “ un percorso di gratitudine per il dono della vocazione dell’Ordine. Un percorso di verità e di umiltà”. La coincidenza del Giubileo Domenicano con il Giubileo straordinario della Misericordia, indetto da Papa Francesco, è certamente un dono di Grazia per tutta la Chiesa. “Noi crediamo che la sua risurrezione è la rivelazione definitiva dell’amore del Padre per Gesù e per il mondo – scrive il Maestro Generale dell’Ordine, P. Bruno Cadorè OP nella lettera di indizione del Giubileo -. La risurrezione di Cristo è la più evidente rivelazione della “misericordia di Dio per i poveri”. Predicare la risurrezione consiste nel predicare un nuovo cammino di amicizia con Dio. Questa è la grazia che ha fatto di san Domenico un predicatore  esemplare, “il predicatore della grazia”. A pochi giorni dall’apertura del Giubileo Domenicano ho incontrato ed intervistato a Varazze il teologo P. Giovanni Cavalcoli OP,  socio della Pontificia Accademia Teologica Romana e docente emerito di Teologia Dogmatica nella Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna e di Metafisica nello Studio Filosofico Domenicano di Bologna, nell’intento di provare a spiegare in modo il più possibile semplice ed accessibile a tutti  argomenti di per sé complessi, normalmente riservati a studiosi e specialisti.

Padre Cavalcoli, nella mia esperienza come giornalista ho imparato a non dare mai per scontato il significato delle parole, e vorrei innanzitutto chiederLe: “Cosa è la teologia e quale è il suo scopo? ”

La teologia, in generale, è l’indagine razionale circa il mistero di Dio. Se poi tale indagine avviene sulla basedeldogma cattolico ealla luce dellafede nella divinarivelazione comunicata da Gesù Cristo all’umanità per mezzo della sua Chiesa, allora abbiamo la teologia cattolica, che è quella della quale faccio professione. 

La teologia è puro studio e ricerca accademica o ha delle ricadute concrete nella nostra vita di tutti i giorni? Può farci qualche esempio concreto di “teologia quotidiana?”

La teologia speculativa è pura ricerca della verità su Dio, semplicemente per contemplare il mistero di Dio. Maessa diventa teologia morale, quando, considerando i comandamenti divini, si interroga su qual è la volontà di Dio nei confronti dell’uomo. Per esempio, Dio mi comanda di essere paziente imitando l’esempio di Gesù Cristo. Ecco allora che, quando mi capita di soffrire, ho modo di mettere in pratica quanto Cristo mi insegna su come e a qual fine dobbiamo soffrire. 

Dice una cosa molto importante e da sottolineare a proposito della sofferenza: essa non viene da Dio, non è certo Sua “volontà” che noi soffriamo, ma che ci salviamo, anche attraversando a volte il calice amaro del dolore, purchè vissuto e offerto con Cristo. Ad una persona che patisce da anni sul letto di malattia, per esempio, o ad una mamma che ha perso un figlio, non si può dire che si tratta della manifestazione di una misteriosa volontà di Dio da accettare con fede più o meno forte; semmai occorre soffrire con chi soffre e chiedere insieme la fede e la forza necessari per affidarsi al Signore, unendo il nostro e altrui dolore al Suo. Se le chiedessi di trovare tre parole che interpretano la sua lettura del nostro tempo, quali indicherebbe e perché?

Prima parola: AUTOAFFERMAZIONE.  E’ un bisogno di libertà, una volontà di decidere autonomamente, seguendo la propria coscienza, di essere liberi da padroni ed oppressori, un bisogno di stabilire per conto proprio ciò che è  bene e ciò che male. Da qui la tendenza esser legge a se stessi e la scomparsa del senso del peccato. Tutto quello che faccio è sempre bene, solo gli altri sbagliano. E’ la tendenza liberale.

Seconda parola: BISOGNO DI COMUNIONE. E’ l’aspetto più valido della modernità. Bisogno di comunicare, di condividere. Il principio dell’eguaglianza umana, della socialità, dell’internazionalità. C’è però anche il risvolto negativo: l’individuo, incerto della propria identità, cerca un alibi e un rifugio nell’ideologia del gruppo. E’ quello che Nietzsche, sia pur calunniando, chiamava lo “spirito pecorinico del cristiano”. E’ il principio del socialismo e del collettivismo.

Terza parola: L’ECLISSI DEL SACRO. L’antropocentrismo sorto nel sec.XVI è sfociato oggi nell’ateismo. L’uomo si è messo al posto di Dio. Il senso dell’esistenza non è Dio, ma l’uomo. “L’uomo è Dio per l’uomo” (Marx). Niente al di sopra dell’uomo, tutto al di sotto dell’uomo. L’uomo non è creato da Dio, ma crea se stesso. L’uomo è cosciente della sua precarietà, ma non per questo rinuncia alla sua divinità. Da qui il Dio “debole”, “sofferente”, in “divenire”. 

Cosa intende per Dio “debole”, “sofferente”, “in divenire”?

Mi riferisco a una certa concezione di Dio, oggi abbastanza diffusa, per la quale, sotto pretesto che Cristo come uomo ha sofferto, si vorrebbero attribuire a Dio i difetti dell’uomo, confondendo così la natura umana con quella divina. Allora l’uomo che si fa Dio, assume il volto di un Dio con i difetti dell’uomo.

Nell’era di internet, dei media e dei social network, ci sono delle opportunità ma anche dei rischi per una corretta e ben fondata interpretazione della realtà. Sembra infatti che sia sempre più profondo ed ingovernabile il processo che ci porta a vivere in una sorta di pericoloso sdoppiamento esistenziale: abbiamo da un lato la vita reale e dall’altro quella virtuale o mediatica, dove la seconda influenza i nostri pensieri e mentalità in modo molto più incisivo e pervasivo rispetto alla vita concreta, alle persone reali. Come dobbiamo comportarci e come possiamo orientarci per formarci una coscienza il più possibile obiettiva, libera da condizionamenti e pregiudizi?

Occorre sempre porre in primo piano un corretto rapporto con le persone, non importa se il contatto è mediatico o di presenza fisica o di qualunque altro tipo. Il contatto con la realtà è innanzitutto assicurato dal far attenzione all’esperienza, dalla nostra volontà di essere oggettivi,  dalla prudenza delle nostre valutazioni, dalla ponderatezza dei nostri giudizi, dall’attitudine a saperci correggere e ad ascoltare gli altri, dalla verifica delle informazioni ricevute, indipendentemente dall’uso o non uso degli strumenti telematici, anche se è vero che essi possono costituire uno schermo tra noi e la realtà, schermo che si presume sia assente nei contatti diretti, soprattutto quotidiani.

L'ideologia “gender” (parola inglese che significa “genere”) nega sostanzialmente la differenza naturale fra uomo e donna, fra maschio e femmina, ed afferma che sono solo frutto di stereotipi culturali. Rivendica quindi il diritto di ogni persona di scegliere la propria identità di genere in base al proprio sentire e all’autodeterminazione. A monte di ogni disquisizione teologica o pastorale su questo complesso e delicato tema, e senza voler mancare di rispetto a nessuna persona, spesso mi chiedo:  perché se ne dibatte così tanto? Cosa e chi sta dietro a tanta organizzazione e determinazione politica? Come mai diminuiscono in generale i matrimoni, sia religiosi sia civili, mentre solo le persone omosessuali o transgender sembrano oggi le uniche seriamente motivate al matrimonio?

Questo agitato dibattito, a mio avviso, riflette, non senza la prospettiva di profitti economici e di dominio politico e razziale, il progetto malsano, antiscientifico e disumano, da parte di gruppi di potere, di interferire nell’identità e nell’essenza della persona con la violenza, abusando delle tecniche più avanzate nel campo della biologia e della fisiologia sessuale. E’ un progetto mirante non solo a sopperire ai difetti, alle disfunzioni, alle malattie e alle  carenze esistenti in questo campo della salute - il che è cosa utile, benefica, lecita e doverosa, come cura medica delle patologie insorgenti - ma anche ad ottenere la procreazione, sostituendo o alterando tecnologicamente, se fosse possibile, i processi genetici, biologici e fisiologici sani o normali, fatta passare come cultura, progresso e libertà. Questo accanimento, teso peraltro alla promozione delle convivenze di coppie omosessuali, insieme col calo dei matrimoni, è l’effetto della distorsione della normale riproduzione  della specie umana, causato dall’abile, potente ed attrezzatissima propaganda di ideologie distruttive della sussistenza della specie umana.

Quindi, a suo giudizio, alla base dell’ideologia gender c’è un pensiero che mira addirittura alla distruzione della specie umana? Quali sono le origini più antiche di questo germe distruttivo e attraverso quali correnti filosofiche ed eventi storici si è manifestato e si è evoluto nel tempo? Una grande scrittrice da poco scomparsa, Elena Bono, mi diceva che siamo figli del Nazismo, perché non siamo più una civiltà della vita, ma della morte, non difendiamo più la vita, ma ci battiamo per principi di morte: aborto, eutanasia, eugenetica – sosteneva la Bono – nascono dagli esperimenti chi nazisti compivano sugli ebrei nei campi di concentramento.

Io direi proprio di sì. A mio parere l’origine di questa idea distruttiva va cercata nell’antica visione gnostica del dualismo manicheo e brahmanico, che concepisce la materia, e quindi il corpo, come principio del male, al fine di liberare lo spirito. Un’idea apparentemente sublime, ma che al lato pratico comporta la distruzione dell’uomo, evidentemente composto anche di materia, da cui la differenza sessuale.

Come si conciliano le esigenze evangeliche di Giustizia e di Misericordia? Glielo chiedo perché mi pare di aver riscontrato nella mia vita che il perdono non è perfetto se non rispetta e non tiene conto delle esigenze della giustizia.

Tutto si riassume nella parabola del servo spietato di Mt 18, 23-35. Dobbiamo essere misericordiosi con coloro che hanno bisogno di misericordia e ce la chiedono, come Dio è misericordioso, quando abbiamo bisogno della sua misericordia e Gliela chiediamo. Ma se manca in noi la misericordia che condona il debito, interviene la giustizia divina, che castiga il nostro peccato. Così Dio è disposto a farci misericordia e a perdonarci i nostri peccati. Ma se noi non siamo misericordiosi col prossimo che merita misericordia, e non ci pentiamo di questa durezza, Dio ci infligge la giusta punizione. 

Quindi non possiamo disgiungere la Misericordia di Dio dalla Giustizia divina: esse sono come due facce di una stessa medaglia che è la Carità nella Verità. Come possiamo prepararci, allora, per vivere bene, cioè proficuamente, l'Anno Giubilare straordinario della Misericordia?

Occorre che chiariamo innanzitutto che cosa è la misericordia: quella divina nei nostri confronti e quella che noi dobbiamo esercitare verso il prossimo, nonchè la misericordia che possiamo dobbiamo chiedere a Dio e quella che possiamo e dobbiamo chiedere al prossimo. E poi dobbiamo passare ai fatti, così da confidare nella divina misericordia senza tentare Dio, con salutare timor di Dio, facendo penitenza dei nostri peccati. Dobbiamo altresì umiliarci a chiedere perdono ai fratelli ed essere pronti a dare il perdono a quanti ce lo chiedono, pronti alla pratica della giustizia e a lottare contro l’ingiustizia.

Spesso mi chiedo che senso possano avere le parole “misericordia” e “salvezza”per coloro che non hanno fatto esperienza drammatica e intima del peccato e delle sue distruttive conseguenze già in questa vita. Questa sua ultima risposta mi pare metta in luce il problema cruciale della coscienza del proprio peccato e del male che è in noi: se non accettiamo di confrontarci con Dio e la Sua Parola, se non comprendiamo chi siamo e chi è l’uomo,  come possiamo maturare il desiderio di essere perdonati e di perdonare? Se rifiutiamo il senso del peccato, che ci fa crescere nella libertà e nella verità, e lo confondiamo con il senso di colpa, che invece ci blocca all’interno di relazioni di schiavitù, sarà piuttosto difficile vivere la gioia di rinascere in Dio Padre misericordioso.

Certamente chi ha peccato di più, pentendosi, ha modo di sperimentare maggiormente la misericordia divina, come dice Gesù alla peccatrice: “molto le è perdonato perché molto ha amato”, ossia perché è sinceramente pentita.

 

di Stefania Venturino

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