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titolo 2016-05-05 - Terra Santa: l'appello dei cristiani che vivono a Nazareth, Betlemme, Gerusalemme

Terra Santa: dove i cristiani hanno ancora fede e sanno ancora soffrire e offrire la Croce per amore di Gesù.

Se Cristo ha sofferto, se è salito sul Calvario, non dobbiamo stupirci se questo accade anche a noi oggi, nella terra di Gesù. Soffrire per Gesù e per il Vangelo è “normale”. Ma, per favore, non lasciateci soli, venite a fare dei pellegrinaggi qui in Terra Santa, a pregare con noi per la pace!”. E’ questo l’appello che alcuni cristiani  nativi di Nazareth, Betlemme e Gerusalemme, mi hanno rivolto e chiesto di diffondere in occasione del mio recente pellegrinaggio in Terra Santa.

Andare a Gerusalemme e in generale andare in Terra Santa (che comprende, con il Patriarcato Latino di Gerusalemme,   i territori di Israele, Palestina, Giordania, Libano e Cipro), è una esperienza unica, che consiglierei a tutti di fare almeno una volta nella vita. I timori di possibili rischi per i pellegrini sono in realtà ingiustificati, perché ogni singolo passaggio e dettaglio dei pellegrinaggi viene sempre verificato preventivamente, in termini di sicurezza, dalle agenzie di viaggio e, sul posto, dalle guide.

Nella Terra da cui ebbe origine, svolgimento e compimento tutta la storia della Salvezza racchiusa nella Sacra Scrittura, credenti, ma anche non credenti, troveranno certamente ragioni per interrogarsi, riflettere, prendere posizioni e decisioni rispetto alla propria vita, per riscoprire il sapore e il valore della preghiera, ritrovando quel senso religioso della vita che abbiamo perduto e andando alla ricerca di “quel” vero Dio che Solo può colmare la nostra sete di giustizia, pace, verità e felicità per le quali tutti siamo stati creati.

La paura che sempre più si sta diffondendo in Europa a causa degli attentati e delle minacce terroristiche di matrice islamica, e le notizie allarmanti – a volte esageratamente allarmanti -  di una nuova possibile terza intifada  che ci giungono dalla Terra Santa attraverso i media,  hanno determinato nell’ultimo anno una diminuzione sensibile dei pellegrinaggi. Questo drastico calo di pellegrini sta mettendo a dura prova molte famiglie cristiane originarie della Terra Santa, sia perché le poche comunità che resistono si sentono abbandonate moralmente e spiritualmente dai noi cristiani di occidente, sia perché viene loro meno una importante fonte di sostentamento, legato al movimento economico delle offerte nei luoghi di culto, al lavoro delle guide, dei pullman, degli alberghi, dei negozi, degli artigiani locali. Invece, piuttosto che loro, quanto più avremmo noi da ricevere andando alle origini della nostra fede! Origini che possiamo ritrovare non solo nei luoghi geografici e nei resti archeologici (interessantissimi) di cui ci parla la Bibbia, ma soprattutto in quelle “pietre vive” che sono proprio i cristiani della Terra Santa, i quali hanno mantenuto molto più di noi occidentali la fede delle origini, fatta di radicate e radicali convinzioni, di fiducia in Dio, di culto, di preghiera, di coraggio e di determinazione.

Lì, nei luoghi dove Gesù fu  preannunciato dai profeti, dove nacque, visse, fu  crocifisso, morì, fu sepolto ed infine risuscitò, si incrociano e si intrecciano passato e presente, origine e fine, poteri politici e poteri religiosi, Nazioni ricche e Nazioni povere, popolazioni forti e deboli, ricchi e poveri, differenti fedi e modi di pregare. La complessa ed annosa questione israelo-palestinese, che vede coinvolti interessi ed alleanze da parte delle maggiori potenze del mondo, le quali non sembrano interessate a lavorare seriamente per la pace, si innesta su uno sfondo territoriale, socio-culturale ed etnico-religioso che vede contrapporsi, spesso purtroppo in modo violento, le popolazioni del luogo. I cristiani (facenti parte di tutte le confessioni: cattolici, ortodossi, armeni, copti…) , sono ormai ridotti a meno del 2% rispetto al circa 25% presenti nella regione prima del 1948 (quando fu creato lo Stato di Israele). Costituiscono l’unico e concreto baluardo di pace e di mediazione in mezzo alle ragioni del popolo ebreo e di quello arabo-palestinese-mussulmano, che rivendica fortemente – assieme ai cristiani di origine arabo-palestinese - il riconoscimento di uno Stato della Palestina indipendente da parte di Israele e dell’intera comunità internazionale. “I cristiani che vivono tra due maggioranze, ebrei e mussulmani – ha detto di recente il Patriarca latino di Gerusalemme, Mons. Fouad Twal in una intervista rilasciata a Roma lo scorso 14 Aprile e pubblicata sul sito del Patriarcato da Myriam Ambroselli sono quel “piccolo gregge” di cui parla il Vangelo ma sono chiamati ad essere un ponte tra le due religioni, due culture, due civiltà, ma anche due politiche”. Ciascun popolo, infatti, a partire proprio dalle motivazioni di tipo religioso, che lì sono ancora fortemente sentite, praticate e vissute da gran parte della gente,  combatte la propria guerra per la pace, ognuno intendendola a modo proprio e con sempre meno disponibilità ad ascoltare le ragioni dell’altro e, soprattutto, a fidarsi dell’altro. “La ricerca di sicurezza – ha proseguito Mons. Twal nell’intervista – sta diventando una sorta di ossessione, un mito in nome del quale si giustifica ogni sopruso ed il ricorso immediato alla violenza in ogni circostanza”. E’ proprio la sfiducia, direi, il sentimento drammaticamente più diffuso che in questo momento alberga nei cuori delle persone che vivono in Terra Santa e l’esodo dei cristiani, che riguarda soprattutto i giovani e gli intellettuali in cerca di una migliore prospettiva di vita, rappresenta per tutta la regione una grave perdita umana e culturale. Infatti,  i cristiani di Terra Santa, che hanno una storia, una lingua ed una cultura comune con i musulmani con cui vivono da secoli, svolgono un ruolo positivo nella società araba e facilitano le relazioni fra le differenti componenti sociali. Un esempio concreto in questo senso è rappresentato dalle scuole cristiane in Palestina, stimate fra le migliori e frequentate da studenti sia mussulmani sia cristiani.

Per entrare davvero nel clima culturale, spirituale e religioso che si respira in Terra Santa non basta certamente un pellegrinaggio di una settimana: forse occorrerebbe tornarci più volte, come è successo a chi scrive, o addirittura viverci, come fanno tanti missionari e missionarie cristiani. Tuttavia non c’è nessuno che sia stato a Nazareth, a Betlemme, a Gerusalemme, nell’Orto degli Ulivi, al Cenacolo o al Santo Sepolcro, o ancora sul Monte delle Beatitudini, o sul lago di Tiberiade, e poi abbia ascoltato o letto il Vangelo senza comprenderlo in modo nuovo e sentirlo risuonare in modo diverso nel proprio cuore. Come diceva Fr. Marie Joseph Lagrange OP, fondatore nel 1890 della prima scuola biblica e archeologica in Gerusalemme, la famosa e prestigiosissima École Biblique, la Bibbia deve essere studiata all’interno del contesto fisico e culturale in cui venne scritta nei vari periodi storici: “l’unione del monumento con il documento” – diceva - l’archeologia e l’esegesi del testo biblico.  Papa Paolo VI diceva ancora che la Terra Santa è il quinto Vangelo, e quando ci si ritrova a camminare realmente sulle orme di Cristo, anche chi non crede delle domande inizia a porsele. 

Tornati dalla Terra Santa ci si sente un po’ diversi, forse un po’ travolti dai pensieri e dalle emozioni provate, perché è come fare un tuffo nella storia passata, presente e futura. Ci si sente come divisi dall’ impossibilità di riuscire trovare una soluzione per una pace vera e duratura, basata sulla giustizia ed il rispetto reciproci, e nello stesso tempo dall’evidenza di un comune anelito di speranza che nasce dal riconoscerci, nonostante tutto, “fratelli”, accomunati da una origine ed un destino comuni di cui la città di Gerusalemme sembra essere quasi l’emblema. Cosa prevarranno infine? Le ragioni dell’odio e della divisione, che certamente porteranno ancora morte e distruzione, oppure quelle della speranza nella Pace, nutrita dalla Fede in quel Dio Padre di fronte al quale siamo tutti fratelli? La pace, in Terra Santa così come nei nostri Paesi e nel mondo, dipende anche dalle nostre buone scelte quotidiane.

 

di Stefania Venturino

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