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titolo 2017-07-18 - Intervista all'Arcivescovo di Smirne Mons. Lorenzo Piretto O.P.

di Stefania Venturino

L'intervista è stata pubblicata su LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA il 18 Luglio 2017

Sono molti i temi affrontati in questa intervista dal Vescovo di Smirne, dal dialogo inter-religioso all'evangelizzazione, dai cristiani che vivono in Turchia alle paure dell'uomo di oggi, dalla povertà alla speranza e alla Misericordia.

Incontro l’Arcivescovo di Smirne, Mons. Lorenzo Piretto OP, a Varazze, nel Convento dei Padri Domenicani, dove ha trascorso qualche giorno di riposo.

Lo avvicino con l’intento di capire meglio cosa significhi essere cristiani in un Paese come la Turchia e di ascoltare più in generale la voce di un Pastore, la testimonianza di un uomo di Dio, che legge e discerne i fatti della storia, personale e dei popoli, alla luce della Fede.

Eccellenza La ringrazio per la Sua disponibilità. Spero che da questo colloquio possa emergere non solo un particolare spaccato di vita cristiana ma anche la traccia e i frutti di un cammino spirituale e religioso, il consiglio o l’appello di un uomo di fede, di un Domenicano, che da più di trenta anni vive in Turchia.

 

Sua Eccellenza, da quando si trova in Turchia e dopo quale percorso?

Mi trovo fisso in Turchia dal dicembre 1983, ma ho cominciato a frequentarla dal 1974, andando nei mesi estivi ad aiutare i frati del convento di Smirne.

Che incarichi ha ricoperto?

Nei 30 anni passati a Istanbul, sono stato per più di 20 anni superiore dei domenicani e parroco della parrocchia dei santi Pietro e Paolo nel quartiere di Galata. Per altrettanti anni sono stato Vicario generale del Vicariato apostolico di Istanbul. Sono stato per 30 anni redattore della rivista in francese della chiesa cattolica di Turchia: “Présence”. Ho svolto per 10 anni insegnamento di italiano alle Facoltà tecniche e 13 anni insegnamento di latino alla Facoltà di teologia islamica dell’Università “Marmara” di Istanbul. Quest’ultimo insegnamento, rivolto a studenti che preparavano la Licenza e il Dottorato, è stato particolarmente importante per me, proprio per il contatto diretto con gli studenti, alcuni dei quali erano già Iman, ovvero responsabili delle Moschee. Ricordo che erano estremamente interessati al rapporto fra i filosofi arabi (Avicenna, Averroè) e i filosofi e teologi cristiani del medioevo, come S. Tomaso d’Aquino. Negli studenti islamici ho riscontrato un grande interesse della conoscenza del cristianesimo. Quando per esempio parlavo di temi spirituali come la preghiera cristiana, nella mia vita e nelle comunità, vedevo che i loro occhi si illuminavano. Ho sperimentato che ciò che lega profondamente un cristiano ed un musulmano è proprio il sentimento religioso, lo sguardo a Dio, una autentica e sincera vita di preghiera. Se c’è questo, quando si prega, allora non c’è più distinzione, diffidenza, e si amano anche quelli di un’altra religione. Con alcuni di questi studenti siamo ancora in contatto, soprattutto attraverso gli auguri che ci scambiamo per le rispettive feste religiose. E’ un segno di grande rispetto reciproco.

Come è stato il primo impatto con questo Paese e con il Suo popolo?

La prima venuta nel 1974, con la conoscenza delle due comunità di Smirne e Istanbul e con un viaggio in tenda attraverso la Turchia, mi ha permesso di scoprire la Turchia come seconda Terra santa, dove si è sviluppata la predicazione degli apostoli (cfr. Atti degli Apostoli) e anche scoprire l’animo aperto e ospitale dei turchi. Da qui il desiderio di poter venire a vivere il più presto possibile in Turchia. Una vera e propria chiamata.

Cosa ha “imparato” dal popolo turco e dai musulmani, cioè quale è stato per lei personalmente l’insegnamento provvidenziale ed esistenziale che questa esperienza Le ha fatto fare e ancora Le sta facendo fare?

Come ho già detto ho scoperto anzitutto una grande ricchezza di ricordi cristiani da rivitalizzare. Inoltre è nata in me una grande simpatia per questo popolo che è subentrato al popolo cristiano (soprattutto cristiani armeni, greci, siriaci e caldei). Inoltre la fede innata in Dio dei turchi, mi ha subito spinto all’impegno per l’apprendimento della lingua turca e iniziare cosi un dialogo sincero e concreto con loro.

Quanti sono oggi i cristiani in Turchia e i cristiani cattolici? Come vivono?

 All’inizio del secolo i cristiani rappresentavano circa un terzo della popolazione. Oggi sono circa 100.000, di cui 50.000 armeni apostolici. I cattolici dei vari riti sono circa 30.000. La Chiesa cattolica di rito latino non è ufficialmente riconosciuta. Di fatto viviamo in clima di libertà religiosa, anche se intesa solo come libertà di culto, cioè siamo liberi di svolgere le nostre attività religiose ed educative solo all’interno della Chiesa.

Cosa l’ha colpita di più delle comunità cristiane che vivono a Istanbul e a Smirne e cosa Le hanno rivelato di particolare che forse non avrebbe potuto scoprire o sperimentare se fosse rimasto in Italia?

Sono molto riconoscente alle comunità cristiane di Turchia, perché hanno saputo conservare la fede anche in situazioni difficili. Quanto ai cattolici latini, hanno fatto un grande sforzo negli ultimi decenni per adattarsi alle innovazioni del Concilio Vaticano II, sopratutto con l’introduzione della lingua turca nella Liturgia. Vi è stato un graduale progresso nel far cambiare l’idea delle nostre comunità come legate a chiese nazionali (italiana, francese, tedesca, ecc.). Finalmente si parla di Chiesa cattolica. In genere i nostri fedeli sono ben integrati. Ed è bello vedere come alla celebrazione dei matrimoni e dei funerali vi sia una grande partecipazione di amici musulmani.

Guardando dalla Turchia le nostre comunità cristiane (in Italia e in Europa), che cosa osserva e cosa si sentirebbe di dire come Pastore a noi Occidentali? Cosa si aspettano da noi i cristiani che vivono in Turchia e cosa potremmo fare per aiutarli?

Potendo ora seguire per via satellitare le televisioni straniere (in particolare i canali italiani) i nostri cristiani rimangono confortati quando vedono le chiese piene e le liturgie ben preparate. Molte delle nostre famiglie pregano ogni sera il Santo Rosario trasmesso da Lourdes. Certamente dai cristiani d’Italia e d’Europa, che vivono in clima di piena libertà religiosa, si attendono una testimonianza viva di fede, e forse in questo si illudono un po’...

C’è una preghiera, un Santo, una devozione che le è particolarmente cara, con la quale è cresciuto, che fa parte della Sua quotidianità e che si sentirebbe di consigliare?

La preghiera che amo di più e che spesso recito con le persone musulmane che vengono a chiedermi l’aiuto di una preghiera è il “Padre nostro”. L’ho anche tradotta dal latino e commentata con gli studenti all’Università. Quanto a un santo è la madre di Gesù, Maria santissima, molto venerata anche dai fratelli mussulmani. A Istanbul ai visitatori della chiesa che guardavano al volto della Vergine, ripetendo: “come è dolce”, io facevo notare come il Corano, il loro libro sacro, parla di Maria come della “tutta santa che ha ricevuto Gesù da Dio”, non da un uomo. I Turchi chiamano Maria “Meryem Ana”, “Maria mamma”. E alla casa di Maria a Efeso, dove la Madonna avrebbe vissuto gli ultimi tempi della sua vita e si sarebbe “addormentata”, come dicono gli orientali, e poi assunta in cielo, la grande maggioranza dei pellegrini è costituita dai musulmani. Maria è la madre di tutti gli uomini e il “ponte” per il dialogo tra cristiani e musulmani. Proprio in questa linea, la mia devozione più cara è quella del rosario, un modo semplice e profondo per entrare nel cuore del vangelo con il cuore della madre di Gesù.

Cosa è per lei la povertà? Di cosa oggi l’uomo, ogni uomo, indipendentemente dalla sua razza o religione, ha più bisogno e di cosa ha più paura?

Povertà è anzitutto quella interiore, la mancanza di speranza, nella consapevolezza che tutto il bene che è in noi e che possiamo fare viene da Dio. E’ Lui che continua a guidare la storia personale e dei popoli nonostante i nostri continui tradimenti. Quindi la ricerca non di affermazione personale, ma del Regno di Dio. E il Signore dà poi veramente il cento per uno su questa terra e la vita eterna. In questa prospettiva è importante vivere in sobrietà materiale, accontentandosi del necessario, sapendo che molti vivono nella effettiva povertà materiale e addirittura muoiono di fame. Penso che gli uomini prima di tutto sentano il bisogno di essere rispettati e amati, non umiliati e sfruttati. Naturalmente è importante lavorare perché ogni uomo abbia il necessario per vivere degnamente: quindi pane materiale e pane spirituale (valori religiosi e morali). Mi pare di avvertire in tutti un grande timore per il futuro: la paura del male che l’uomo può fare all’altro uomo.

In cosa consiste la Libertà dell’uomo e come la si può conquistare e difendere?

Domanda molto difficile. Certamente è essenziale che ogni uomo possa vivere in piena libertà di coscienza la sua relazione con Dio e il suo impegno morale.

In un mondo globalizzato e soprattutto iper-connesso tramite i social-media, non pensa che la presenza della voce della Chiesa oggi rischi di appannarsi un po’, di confondersi, di distinguersi poco in mezzo alle tante proposte di veri o presunti diritti, verità, giustizia, pace che inondano i nostri schermi e telefonini? Come si affronta secondo lei la sfida nella Nuova Evangelizzazione, che è poi l’annuncio della VERITA’, nell’era di internet? E quanto in Turchia i social sono influenti nella vita delle persone e nelle loro opinioni?

Non sono particolarmente esperto in materia. Credo comunque che sia molto importante per la Nuova Evangelizzazione l’uso dei nuovi mezzi di comunicazione. So che molti, in Turchia come nei Paesi arabi e musulmani, seguono i programmi cristiani. Certamente c’è molta confusione, ma ci può essere anche molto bene. Io cerco, per quanto possibile, di curare molto i rapporti personali. Mi rendo sempre più conto che sono alla base della mia vita e della mia testimonianza in Turchia. Penso che anche nell’era di internet, solo il rapporto a tu per tu, l’incontro con l’altro guardandosi negli occhi, sia alla base di ogni principio di dialogo inter-religioso nonché di evangelizzazione e nuova evangelizzazione anche in Occidente.

Secondo Lei, da quanto ha potuto constatare nella Sua esperienza di religioso, Sacerdote e Vescovo di Santa Romana Chiesa, che cosa unisce, nell’essenza, ogni uomo? E quale è il peggior nemico dell’uomo che si nasconde in ciascuno di noi?

In ogni uomo c’è l’immagine di Dio e quindi un fondo di bene. L’impegno mio è sempre stato quello di guardare ogni persona con rispetto, cercando di capirla dall’interno nei suoi affetti, nei suoi problemi, nei suoi valori religiosi e morali. Si scoprono delle cose meravigliose. Secondo me, il grande nemico che è in ciascuno di noi è la diffidenza, per cui siamo spesso in atteggiamento di difensiva, invece che in atteggiamento di accoglienza e di comprensione. Questo non significa, naturalmente, come ci invita il Signore, a esercitare la dovuta prudenza nelle diverse circostanze in cui ci troviamo.

C’è una preghiera che a Suo avviso unisce o potrebbe unire meglio i cristiani, gli ebrei e i musulmani?

Come ho già detto, per me è anzitutto la preghiera insegnata da Gesù, il “Padre nostro”, che unisce tutti. Inoltre per gli ebrei e i mussulmani alcuni salmi. Tra gli altri, io amo molto il salmo 23 (“Il Signore è il mio pastore”) e il salmo 8 (“O Signore nostro Dio, quanto è grande il tuo amore su tutta la terra. Se guardo il tuo cielo...”).

C’è l’ha un sogno, una speranza che coltiva tenacemente?

Un mio grande sogno é di veder rivivere oggi alcune delle 7 Chiese di cui parla s. Giovanni nell’Apocalisse e che si trovano tutte nella mia diocesi. Smirne, grazie Dio, è sempre rimasta viva, anche se ridotta numericamente. In Efeso (il nome nuovo della città oggi è Selçuk) ha già preso forma una piccola comunità. Il prossimo sogno é di avere una presenza cristiana nei pressi di Laodicea, Ierapolis (dove c’è la tomba dell’apostolo Filippo) e Colossi (lettera di s. Paolo ai Colossesi). Questi tre luoghi si trovano a pochi chilometri l’uno dall’altro. Chiedo una preghiera perché anche questo sogno possa realizzarsi. Grazie.

Quando prega il Signore, di cosa Lo ringrazia e di cosa chiede perdono? Che cosa chiede oggi a Dio per il bene dell’umanità?

Ogni mattina, dopo la s. Messa, anzitutto ringrazio il Signore per l’infinita misericordia con cui ha sempre accompagnato la mia vita. “Misericordia” è anche la parola presente nel mio stemma episcopale. Poi invoco lo Spirito santo: - di rispondere il meno indegnamente possibile alla vocazione di vescovo, - di essere umile, calmo, sereno, paziente e confidente. Al buon Dio chiedo anzitutto luce e buon senso per tutti quelli che hanno responsabilità di ogni genere. E poi per tutti la pace del cuore da portare anche agli altri.

Cosa è la Misericordia?

Misericordia è riconoscere l’amore di Dio nella nostra vita ed esserne riconoscenti. Da questa apertura del nostro cuore e della nostra libertà a Dio nasce il desiderio di conoscere la Sua volontà e di seguirLa.

 

 

 

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