1 Agosto 2014 - “Il mistero divino dell'Incarnazione del Verbo è in stretto rapporto con la famiglia umana. Non soltanto con una, quella di Nazaret, ma in qualche modo con ogni famiglia”.
Basterebbero solo queste poche parole, scritte da Giovanni Paolo II nella sua lunga “Lettera alle famiglie” [1], per meditare a lungo e comprendere la dignità della famiglia umana e la sua origine divina.
Ma l’uomo, oggi come sempre, è tentato di vivere a modo suo, di venerare idoli costruiti con le sue stesse mani, di soddisfare il suo insopprimibile desiderio di felicità nel culto di un mondo, e di una cultura, che si illude di poter sopravvivere lontana dalla verità.
E’ estremamente interessante vedere anche con quali parole inizia il Catechismo della Chiesa Cattolica nella sua prefazione: “Dio, infinitamente perfetto e beato in se stesso, per un disegno di pura bontà, ha liberamente creato l’uomo per renderlo partecipe della sua vita beata. Per questo, in ogni tempo e in ogni luogo, egli è vicino all’uomo. Lo chiama e lo aiuta a cercarlo, a conoscerlo e ad amarlo con tutte le forze. Convoca gli uomini, che il peccato ha disperso, nell’unità della sua famiglia, la Chiesa. Lo fa per mezzo del Figlio Suo, che nella pienezza dei tempi ha mandato come Redentore e Salvatore. In Lui e mediante Lui, Dio chiama gli uomini a diventare, nello Spirito Santo, suoi figli adottivi e perciò eredi della sua vita beata”. |
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La parola“famiglia”, con tutto il suo significato, entra quindi a pieno titolo nel piano salvifico di Dio per l’uomo, essendo la Chiesa di Cristo chiamata qui proprio col nome di “famiglia”.
E cosa avvenne “nella pienezza dei tempi”?
“…Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di lui eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità…”(Gv, 1, 9-14).
Il Verbo, il Figlio di Dio, fu concepito per opera dello Spirito Santo e nacque da Maria Vergine che, con il suo sposo, Giuseppe, uomo giusto e timorato di Dio, crebbe e custodì la vita umana di Gesù, facendolo crescere in una realtà famigliare in cui gli affetti e i legami personali erano improntati all’amore di Dio e al sincero desiderio di fare la Sua Volontà. La Santa Famiglia di Nazaret: è questo il vero e solo modello non solo di ogni famiglia cristiana, ma anche di ogni famiglia che aspiri ad essere pienamente umana.
Ascolto, preghiera, umiltà, semplicità, vita di fede, coraggio, amore di Dio e del prossimo, rispetto e fiducia reciproci, condivisione, aiuto e sollecitudine, laboriosità, fedeltà : sono questi alcuni fra i valori e i principi che sorreggevano ciascun componente della Sacra Famiglia e la stessa comunione famigliare di Gesù, Maria e Giuseppe.
La loro umanità, lungi dall’essere mortificata dall’obbedienza alla volontà di Dio Padre, fu anzi esaltata in tutte le sue facoltà e potenze: affettive, fisiche, intellettuali, spirituali.
Maria fu forse “meno” donna per essersi mantenuta sempre Vergine? Amò forse di meno il suo sposo per essersi consacrata interamente a Dio? La sua umiltà, semplicità, santità, capacità e desiderio di silenzio e di meditazione, la rendevano forse una donna meno affascinante e bella?
E Giuseppe, fu un uomo meno virile per aver condiviso con Maria, sua amatissima sposa, la verginità? La sua paternità fu minimamente sminuita o lesa per il fatto di non essere colui che aveva concepito Gesù nella carne? La sua autorevolezza e importanza come capo della sua famiglia venne messa in discussione per il fatto che Gesù era il Figlio Unigenito di Dio?
La risposta a ciascuna di queste domande è no:
Maria e Giuseppe furono pienamente donna e uomo, pienamente sposi, pienamente genitori, proprio per aver accettato liberamente, e responsabilmente, di realizzare il piano di Dio su di loro. Certo, la loro missione fu, ed è, assolutamente unica: ma il senso della loro vita, interamente donata a Dio e al mondo, illuminerà la storia dell’umanità fino alla fine dei tempi.
Nella sua Lettera alle Famiglie del 2 Febbraio 1994, Giovanni Paolo II scriveva: “…Alla luce del Nuovo Testamento è possibile intravedere come il modello originario della famiglia vada ricercato in Dio stesso, nel mistero trinitario della sua vita. Il « Noi » divino costituisce il modello eterno del « noi » umano; di quel « noi » innanzitutto che è formato dall'uomo e dalla donna, creati ad immagine e somiglianza divina…”.
Passando poi a parlare specificamente del matrimonio scriveva: “Il consenso matrimoniale definisce e rende stabile il bene che è comune al matrimonio e alla famiglia. « Prendo te . . . come mia sposa - come mio sposo - e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita ». Nell'affermare che l'uomo è l'unica creatura sulla terra voluta da Dio per se stessa, il Concilio Vaticano II aggiunge subito che egli non può « ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé ». Potrebbe sembrare una contraddizione, ma non lo è affatto. È, piuttosto, il grande e meraviglioso paradosso dell'esistenza umana: un'esistenza chiamata a servire la verità nell'amore. L'amore fa sì che l'uomo si realizzi attraverso il dono sincero di sé: amare significa dare e ricevere quanto non si può né comperare né vendere, ma solo liberamente e reciprocamente elargire” .
Ora, di fronte ad un profilo così alto e sublime della dignità dell’uomo e della donna, e del matrimonio, la società moderna oppone nuovi concetti di famiglia che si basano su una idea della persona che non è più figlia di Dio, ma è figlia di sé stessa e della cultura o ambiente in cui vive.
In nome dei diritti, della libertà e della dignità della persona, e proprio della donna in particolare, molti Stati in tutto il mondo, espressione della mentalità e volontà dei loro popoli, hanno concepito e varato leggi per regolamentare l’aborto e il divorzio, oppure per dare alle unioni omosessuali lo status di matrimonio e di famiglia.
Certamente, così facendo, l’uomo è convinto probabilmente di fare il proprio bene e di esprimere i valori di una società tollerante, culturalmente e scientificamente avanzata. Ma, anziché fidarsi di Dio e del Suo Amore, anziché aspirare alla Sua sapienza, che si esprime anche attraverso il prezioso Magistero della Chiesa, l’uomo continua a cercare la propria felicità e realizzazione lontana da Dio. Senza un riferimento trascendente, senza una vera fede in Dio, ciascun uomo diventa così necessariamente il riferimento unico ed ultimo per valutare la bontà o meno di qualunque idea, decisione, comportamento, legge. Non esiste più una verità, ma tante verità. I concetti di male e bene sfumano sempre più. E’ il deprecato pericolo del “relativismo” contro il quale spesso il Santo Padre Benedetto XVI ci mette in guardia.
“Nella Sacra Scrittura – dice il CCC [2] al n. 753 – troviamo moltissime immagini e figure tra loro connesse mediante le quali la Rivelazione parla del mistero insondabile della Chiesa. Le immagini dell’A.T. [3] sono variazioni di un’idea di fondo, quella del “popolo di Dio”. |
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Nel N.T.[4] tutte queste immagini trovano un nuovo centro, per il fatto che Cristo diventa il “Capo” di questo Popolo, che è quindi il suo Corpo. Attorno a questo centro si sono raggruppate immagini <
Così la Chiesa è l’ovile, la cui porta unica e necessaria è Cristo. E’ pure il gregge di cui Dio è pastore. E’ il podere o campo di Dio. E’ l’edificio di Dio.
Ed infine, ma non ultimo, la Chiesa, che è chiamata “Gerusalemme che è in alto” e “madre nostra” (Gal. 4,26), viene anche descritta come l’immacolata sposa dell’Agnello immacolato (Ap. 19,7; 21, 2-9; 22,17), sposa che Cristo “ha amato…e per la quale ha dato sé stesso, al fine di renderla santa” (ef, 5,25-26).
San Paolo, nella sua lettera agli Efesini (5,21), esprime con parole bellissime e profonde il legame che intercorre fra la famiglia, Gesù Cristo e la sua Chiesa. Infatti, così esorta gli Efesini a proposito della “morale domestica”: “Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le proprie mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama sé stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo Corpo. Per questo << l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola>>. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!...”.
[1] Roma, 2 Febbraio 1994 (Anno della Famiglia)
[2] CCC: Catechismo della Chiesa Cattolica
[3] A.T. : Antico Testamento
[4] N.T.: Nuovo Testamento