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titolo 2015-04-16 - 25 Aprile 2015 - 70° anniversario della Liberazione

Elena Bono - Commendatore della Repubblica (7 Aprile 2005, Chiavari)


Aldo Gastaldi Il 25 Aprile prossimo ricorrerà il 70° anniversario della Liberazione.

Elena Bono, durante la seconda guerra mondiale, è stata staffetta partigiana nella 6^ zona operativa, comandata da Aldo Gastaldi "Bisagno". Quel periodo, in cui con la famiglia era sfollata a Bertigaro, nell'entroterra di Chiavari, è stato per lei un momento cruciale della sua vita, per la sua maturazione umana, cristiana ed artistica.

Grazie alla'esperienza della "Resistenza" Elena Bono ha potuto confrontarsi con la Storia, comprendendo che la vera vita spirituale e religiosa si realizza solo facendo delle scelte precise di fronte agli accadimenti della vita. "Il problema è quello della scelta " - aveva detto in occasione di una delle sue ultime interviste pubblicata su "La Nuova Bussola Quotidiana": il bene è la scelta difficile".

Ad Elena Bono è stato attribuito il titolo di “poetessa della Resistenza”. Anche se sarebbe riduttivo confinare la scrittrice nell’ambito della sola letteratura storico-resistenziale, sono in molti a riconoscere che le poesie che Elena Bono ci ha lasciato sul tema siano fra le più belle che mai siano state scritte.

Nel 2012 Einaudi ha pubblicato il libro Io sono l’ultimo. Lettere di partigiani italiani e in quella occasione anche ad Elena Bono fu chiesto di scrivere una sua testimonianza. In data 27 Luglio e 4 Agosto 2010 mi dettò il testo da inviare all’editore, nel quale si sofferma in modo particolare sulla figura di Aldo Gastaldi “Bisagno”, di cui il prossimo 29 Aprile a Milano, alle ore 15,00, presso l’Università Cattolica, verrà presentato in prima nazionale il film documentarioLa resistenza di Aldo Gastaldi “Bisagno”: cristiano, partigiano, italiano”.

TRAILER DEL FILM DOCUMENTARIO (SITO UFFICIALE)

Oltre al ciclo di poesie dedicate alla Resistenza (per esempio “Stanze per Rinaldo Simonetti Cucciolo”, “Vengono i giorni”, “Dicevi: A primavera”, “Severino”, e molte altre), Elena Bono ha dedicato una parte consistente della sua produzione letteraria alla cosiddetta Trilogia Uomo e Superuomo”, con 4 volumi che abbracciano il periodo storico italiano ed europeo che va dal 1921 (anno di nascita della Bono) al 1956, e di cui abbiamo pubblicato in versione e-bookUna valigia di cuoio nero, unitamente al saggio di Giulio MeiattiniModernità allo specchio. Storia di una famiglia in un romanzo di Elena Bono”.

 

A proposito di Elena Bono:

Ottieni Subito l'E-BOOK

Morte di Adamo

Ottieni Subito l'E-BOOK

Una valigia di cuoio nero

Ottieni Subito l'E-BOOK

La modernità allo specchio. Storia di una famiglia in un romanzo di Elena Bono

 

Riproponiamo qui di seguito integralmente la lettera di Elena Bono pubblicata da Einaudi nel libro “Io sono l’ultimo”:

 

La mia Resistenza. Testimonianza di Elena Bono

Quando nacque la Repubblica di Salò si verificò quello che c’è in un famoso verso: che “quel guerriero del colpo non accorto andava combattendo ed era morto”.  La Repubblica di Salò è nata morta in partenza.

Si potrebbe dire che era un “revenant”, ossia un “fantasma”, come disse Vittorio Emanuele III quando gli presentarono la lista dei ministri, che gli parvero come dei morti viventi. E non essendo l’araba fenice il fascismo era morto, e commise un terribile errore: chiamò alla leva i ragazzi del ’21, i quali non chiedevano di meglio che starsene tranquilli in casa e quindi, per così dire, li costrinse a darsi alla macchia. I ragazzi richiamati furono costretti a riunirsi in gruppi per resistere e trovare delle armi, magari disarmando gli stessi fascisti e i tedeschi. Ricordo uno che si chiamava Lasagna: si piantò in mezzo alla strada e disse : “mani in alto!”,  ma in realtà non aveva niente e riuscì a disarmare un tedesco.

Un altro mio compagno, Zignaigo, si rifugiò nella sua campagna presso Chiavari – ognuno si cercava il suo posto in campagna, se ce lo aveva -, e se ne stava tranquillo lì quando il solito Giuda traditore – non ne mancano mai di questa razza – svelò ai tedeschi il suo nascondiglio. Non lo trovarono perché si era procurato nella stessa sua casa un rifugio segreto.

Dunque, bisognava essere guerrieri ed eroi per forza! Il fascismo fece così questa grossa provvista di carne da uccidere, ma fu una speculazione sbagliata. Gli alleati nominarono il Generale Alexander capo della Resistenza in  Italia e, pur con qualche errore, come il famoso bando dell’inverno ’44-’45: “Tutti a casa!” - a cui le bande non ubbidirono, fortunatamente - mandarono anche degli aiuti sotto forma di rifornimenti e lanci di viveri e di vestiario paracadutati dal cielo e di passaggi da mano a mano.

In questo si distinsero anche le donne a portare armi di qua e di là. Sarebbe stato sconsigliato da qualunque buon stratega quel disegno di far leva delle classi troppo giovani per morire e per dare la morte, che fu poi il dramma di tante  anime grandi come Aldo Gastaldi, il grande condottiero della 6^ zona operativa, cristiano nel pieno senso della parola, che sentì tutto il dramma di dare la morte ai propri simili e se lo impose per l’amore grande che aveva per la libertà e per la Patria e per tutti gli uomini, dovunque fossero e qualunque lingua parlassero. Giace ora con Mazzini, Cairoli, Bixio e altri grandi del nostro Risorgimento nel “Famedio” del cimitero di Staglieno a Genova.

Nel suo nome molti hanno affrontato con eroica semplicità la morte, come il mio compagno di classe Cesare Talassano, caduto alla testa di un piccolo plotone di condannati gridando: “Viva l’Italia! Viva Bisagno!”. Di Bisagno ho detto in un piccolo epitaffio e credo che non si possa dire di più:

“Come venuto da un mondo migliore  / a combattere per il nostro mondo”.

Ed anche:

Oh Bisagno, i tuoi occhi chiari ci guardano ancora. / Ancora ci sta davanti invalicabile il tuo vasto petto / ogniqualvolta ci chiami cosa che non sia libertà /  né diritto né umano sentire dell’uomo”.

Lui ha avuto vera umanità nel pensare all’uomo e nel trattare l’uomo, anche se nemico.

Ne ha salvati tanti! Per esempio, gli uomini del Reparto Vestone, che faceva parte della Divisione Monte Rosa, che Bisagno convinse a passare nelle file partigiane ed ebbe carissimi e a lui fedelissimi. Resta misteriosa la sua morte.

Nella mia vita di due cose sono orgogliosa: di non aver voluto partecipare ai littoriali di Bottai, a costo di giocarmi l’avvenire e ogni possibilità di sopravvivenza, e di aver fatto quello che potevo come staffetta della 6^ zona operativa (che andava dal passo del Turchino all’Emilia, Sesta Godano), correndo ad avvertire i partigiani di ogni possibile pericolo.

Altro motivo di soddisfazione morale è stato l’aver rifiutato nell’immediato dopo guerra l’invito che mi faceva un luogotenente di Bisagno, Ennio Sannia, uscito come valorosissimo ufficiale istruttore dell’Accademia di Modena e divenuto braccio forte di Aldo Gastaldi, l’invito, dicevo, a dare il mio nome per un vitalizio dello Stato come ex staffetta partigiana. Cose però di ben poco valore rispetto a chi ha dato la vita nel modo più doloroso come, appunto, Cesare Talassano (detto “Ce” come nome di battaglia), il quale fece coraggio ai suoi e fu l’ultimo a cadere con quel suo grido e tale fu la rabbia degli esecutori che lo riconobbero soltanto dalle calzature.

Altra atroce morte fu riservata a Gianpaolo Grosso, splendido giovane, impiccato col gancio alla gola il primo venerdì del mese dell’Aprile 1945, mentre i genitori lo aspettavano avendogli già preparato il posto a tavola per la sua minestra preferita. Il padre era insegnante all’Università di Genova: andò a prendersi quel povero corpo e lui, che sapeva perfettamente il tedesco, da quel giorno non volle più pronunciare una sola parola di quella lingua. Andava a piangere da mio padre, che scrisse il ricordino. Grosso fu vittima della spiata di contadini con cui, come vice commissario della Divisione Rosselli, che operava in Valtellina, aveva trattato l’acquisto di un vitello. Presi i soldi, i contadini sparirono e apparvero i tedeschi, che erano già sul posto ad attenderlo, muniti di gancio, corde e quanto faceva alla bisogna. A lui è dedicata la mia poesia “Per un compagno caduto per la libertà”. Oggi mi pento di non averla dedicata a lui esplicitamente: ma si sbaglia sempre, o per il troppo o per il troppo poco.

E sempre mi sta nel cuore il ricordo di una festicciola in casa di una altro mio compagno di classe, Salvatore Poggi, avvenuta allo scoppio della guerra. Festeggiavamo la nostra maturità liceale. Al dolce, Giampaolo prese una rosa che decorava la torta e me la mise in testa: “Brindiamo – disse – alle nostre future medaglie d’oro e ai poeti che le canteranno”. Non ebbe, che io sappia, nessuna medaglia d’oro, né d’argento né di bronzo, ma solo quella mia poesia.

Elena Bono

(dettato a Stefania Venturino, Chiavari, 27 Luglio e 4 Agosto 2010 - ©)

 

di Stefania Venturino

 

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